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Vico Equense (Napoli)

Ultimo Aggiornamento: 11/09/2007 18:59
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Eccomi qua... comincio io descrivendo il mio paese di origine!

IL TERRITORIO E LA SUA STORIA

Il clima favorevole, la centralità rispetto ai più impor­tanti siti culturali e turistici della Campania, le particolari strutture alberghiere e termali, la balneabilità, il territorio sovrabbondante di te­stimonianze sto­riche e artisti­che che da­tano dal VII se­colo a. C . ai giorni no­stri e i sor­prendenti pae­saggi, che vanno dal li­vello del mare fino ai 1400 metri del Monte Faito, sono le singola­rità di que­sti antichi luoghi. A sottolineare la continua frequen­tazione turi­stica, che da sempre sce­glie queste terre, nume­rosi sono gli al­berghi mu­niti di ogni mo­derno comfort, tutti carat­terizzati da logge sul panorama del golfo di Na­poli. An­cor più nu­merosi sono i luo­ghi della ristora­zione: al­cuni in­timi e riser­vati, altri ampi e modernis­simi, ma tutti ca­ratterizzati dalla delica­tezza dei cibi di una cu­cina di mare genuina che si com­pleta con i tipici prodotti caseari e con vini, rinomati già nel mondo antico. La costa di Vico Equense è tutta un sus­seguirsi di spiagge dal mare lim­pido, tutte attrez­zate con le più mo­derne strutture della balnea­zione. Ve­nendo da Castel­lammare si sus­seguono fino allo Scrajo, luogo ricco di sor­genti sul­furee dalle qua­lità te­rapeutiche, spiagge fre­quentatissime alle quali si le­gano in­cantevoli segmenti di costa che si pro­tendono verso la Marina di Vico. Dopo un tratto di mare aperto, sotto la Catte­drale go­tica a stra­piombo, ini­zia la Ma­rina di Aequa con com­plessi turi­stici e balne­ari, che si con­clude con la spiaggia detta delle "Calcare". Nel I secolo d. C. Si­lio Ita­lico nel poema "Pu­nica", nar­rando la morte nella batta­glia del Trasimeno del 217 a. C. di un guerriero di nome Murrano, aveva indi­cato con il ter­mine "Ae­quana" un territorio non distante da Sorrento quale terra d'origine di quell'eroe. E docu­menti medioevali con­cordemente indivi­duano un sito non più florido, di nome Ae­qua (probabilmente l'Aequana, patria di Murrano) sulla piana del mare detta "Pèczolo". Più antiche testimonianze urbani­stiche e archeolo­giche indu­cono però ad ipo­tizzare che un al­tro nu­cleo abita­tivo, struttu­rato in forma di impianto ippodameo sul vi­cino pia­noro incli­nato, già prece­dentemente, do­veva sovra­stare l'Ae­quana alla quale Si­lio Ita­lico si riferiva. E pro­prio perché i docu­menti, che datano dal Me­dioevo in avanti, con­cordemente indivi­duano il sito di Aequa sulla piana del mare è sconsi­gliabile ritenere che il nucleo abi­tativo, in­sediato sulla piatta­forma in­clinata, avesse tale deno­minazione. Questo insediamento senza nome, an­cora in gran parte con­servato nel per­corso via­rio, a con­ferma della sua an­tichità, ha re­stituito in più ri­prese parte di una necro­poli ricca di cor­redi fune­rari, ora nel lo­cale Anti­quarium, risa­lenti fino al VII secolo a. C. Poi, nel lungo pe­riodo dell'Alto Me­dioevo anche questo sito, spopo­landosi, do­vette tal­mente im­poverirsi da es­sere ri­tenuto solo e niente di più di una loca­lità: "ad Vi­cum dici­tur", pro­prio come atte­sta un docu­mento del 1213. Con l'amministrazione degli Angio­ini prima e de­gli Arago­nesi poi quel "Vicus" ebbe in­vece mi­gliore for­tuna e conqui­stò, o forse ricon­quistò di nuovo, un ruolo premi­nente ri­spetto a Aequa che andava progres­sivamente deca­dendo. La cittadella dalla pianta ippodamea fu cinta di mura e sul mar­gine a stra­piombo sul mare s'impre­ziosì con la nuova Cat­tedrale tra­sferita da Aequa. Al ter­mine del cardine prin­cipale fu eretto l'Episcopio, sullo spe­rone opposto fu­rono innal­zati i ba­stioni del Ca­stello e nelle insu­lae al­lungate, sulle più anti­che fon­dazioni, ri­prese l'edi­lizia resi­denziale. Era ormai Vico Equense, pro­prio per­ché di "Aequa de­solata" non resta­vano che po­che tracce. In­tanto, decen­trati ri­spetto allo stesso borgo, in­torno a chiese e con­venti erano sorti al­tri nuclei abita­tivi, al­tri rioni. Infine, il ta­glio ottocen­tesco della strada per Sor­rento ge­nerò pro­gressivamente, al di fuori delle mura, le nuove ge­ometrie urbane che, as­sieme al sito an­gioinoarago­nese e ai tanti Ca­sali d'impianto medioe­vale, an­cora carat­terizzano, nono­stante la cre­scita edili­zia, quest'antica terra dal clima mite.
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04/09/2007 19:15
 
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IL CENTRO STORICO DI VICO EQUENSE

Le più antiche testimonianze di questa terra sono tutte provenienti dallo scavo di parte della necropoli preromana, scoperta negli anni Sessanta nell'area che va dal vico Lungo a via Santa Sofia e a via Nicotera. Ma già nell'Ottocento questi luoghi erano stati individuati come altamente archeologici perché più volte erano riemersi manufatti e non solo funerari. I moltissimi reperti, risalenti fino al VII secolo a. C. inducono ad includere questi territori nella continuità etrusco-italica che si estendeva fino a Pontecagnano; infatti il materiale attico e corinzio ritrovato non spiegherebbe per forza un insediamento greco in loco, perché i manufatti più arcaici della necropoli sembrano fortemente caratterizzati dalla maniera etruschizzante. Più chiare sono invece le posteriori testimonianze che provano scambi con gli ambienti ellenizzanti. Pare che in epoca imperiale il gusto grecizzante si sia rafforzato, proprio come evidenziano le sculture ritrovate, esemplare fra tutte il gruppo di "Eros e Psiche", ora al Museo Nazionale di Napoli. La tarda Romanità, il primo Cristianesimo e il lungo periodo dell'Alto Medioevo non lasciano invece che sporadici segnali, da ricercare nei conglomerati delle abitazioni trecentesche e quattrocentesche: qualche colonna mozzata a rinforzo di uno spigolo, qualche improvvisa mensola sporgente, qualche frammento di cornice capovolta riutilizzata come appoggio e niente più. Nei primi anni del Trecento, sullo sperone a picco sul mare di quel sito che si andava di nuovo ristrutturando, fu eretta la nuova Cattedrale dell'Annunziata. Certamente più profondo doveva essere inizialmente lo slargo antistante la facciata sul mare, che i cedimenti del costone hanno ridotto progressivamente a una loggia a strapiombo. L'interno a tre navate con abside pentagonale, recentemente in parte denudato dalle stratificazioni accumulatesi nei secoli, si presenta, nelle navate minori, nella sua originaria essenzialità strutturale, ma privo della decorazione ad affresco che doveva rivestire quegli spazi. Restano solo alcuni grossi frammenti di affreschi vicini alla maniera di Roberto di Oderisio. Nella Sagrestia, in ovali di stucco, sono rappresentati i vescovi che si sono susseguiti nella Diocesi. Nella sequenza, ultimo compare un angelo che invita al silenzio. Era quello spazio riservato a monsignor Michele Natale, vescovo giacobino, giustiziato in Piazza Mercato a Napoli per le sue idee repubblicane insieme a Eleonora Pimentel Fonseca, nei contraddittori eventi del 1799. Alle pareti dell'ex Cattedrale numerose sono le tombe, che vanno da quella trecentesca del vescovo Cimino con in basso un pluteo ancora più antico con "cavallo alato", fino a quelle ottocentesche. Un trittico rinascimentale impreziosisce la parete adiacente la struttura quadrata del campanile, mentre la grossa tela con la "Vergine Annunziata" del Bonito si inquadra nitida al centro dell'abside. Altri dipinti pregevoli, stalli lignei intagliati, statue devozionali e arredi preziosi, costituiscono il corredo, addizionato nel tempo, di quest'antichissimo Tempio al quale si rivolge forte il riguardo dei cittadini, che lo indicano a simbolo e immagine della loro terra. A riprova concreta della diffusione dell'architettura catalana, introdotta nel regno dalle maestranze al seguito di Alfonso il Magnanimo, nelle stradine intorno alla Cattedrale molte sono le sopravvivenze di quel gusto. Si intravedono strutture catalane anche sul pontile di accesso alla parte più antica del Castello che fu, nel tempo, molte volte rimaneggiato. La parte medioevale volge al mare e consiste in un grosso volume terrazzato, con un panorama tutto fatto di mare, mentre il resto del grandissimo complesso e il parco si riferiscono ai progressivi ampliamenti che i tanti feudatari vi apportarono nel tempo. Il giardino con piante secolari, le fontane, i viali ombrati e la sala d’armi, caratterizzano questo complesso come "luogo delle delizie". Ma anche qui, come per tutti gli altri manieri, le vicende dei lontani feudatari si sono, nell'immaginario popolare, rimodellate, trasformandosi in storie a tinte fosche. A negazione di tutto ciò, qui invece soggiornava, convinto di poter sconfiggere il male che lo stava consumando, l'illustre autore della "Scienza della Legislazione" Gaetano Filangieri. Il suo corpo mortale sconfitto riposa in un pilastro della vicina Cattedrale. Si dice, in un'urna elettorale. Nel 1840 la Statale Sorrentina, sventrando una parte della cittadella, generò una progressiva crescita edilizia, che incluse anche i diversi borghi sorti precedentemente al di fuori dell'antico abitato. I nuclei fuori le mura meglio conservati sono quello della Piazzetta della Croce e quello di Santa Maria del Toro, che sorse intorno allo spazio conventuale dell'omonima Chiesa cinquecentesca, adorna di un bellissimo soffitto a cassettoni lignei intagliati e dipinti. Sul margine ultimo del centro storico di Vico si insedia il complesso monastico della "Santissima Trinità" che si completa con una chiesa e con un arioso chiostro. Di fronte a quel convento si innalza la Chiesa di Santa Maria delle Grazie detta di "Punta a mare". Sul percorso dell'ottocentesca Statale Sorrentina, intorno alla piazza segnata al centro da una Fontana del 1843 e nelle altre strade che caratterizzano la nuova Vico Equense si intravedono, in parte nascosti dai giardini, villini novecenteschi arretrati rispetto al filo delle strade, alternati a palazzotti borghesi ancora eleganti e riservati. Sul corso principale e proprio al centro del paese si aprono le sale del Museo Mineralogico Campano della Fondazione Discepolo, con oltre 3500 esemplari di 1400 diverse specie di minerali provenienti da tutte le parti del mondo e con un'interessante sezione di fossili. Il materiale, esposto con moderni criteri d'allestimento, conduce il visitatore attento ad una vera e propria immersione nell'universo delle scienze naturali. Infine, sulla strada che sale ai tanti Casali collinari, si incontra il nuovissimo Museo del Convento di San Vito, che espone opere recuperate da chiese del Meridione in disuso e da conventi dismessi.


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LE VIE DEI CASALI

Un'unica panoramica strada, la via Raffaele Bosco, si snoda attraverso le frazioni e i borghi che costituiscono il territorio di Vico, dando la possibilità di scoprire dolci colline, terre coltivate, testimonianze artistiche ed architettoniche, singolar i leggende. Naturalmente è sempre possibile scegliere sentieri alternativi, compiere facili escursioni fuori dei tracciato viario, imbattendosi, lungo la ventina di km del percorso, in realt&agrav e ; e paesaggi multiformi. Il borgo di S.Maria del Toro, a circa 50 metri al di sopra della strada Castellammare‑Sorrento, prima di entrare a Vico, sorse presumibilmente intorno alla chiesa omonima. Si narra che un colono, Nicola Villauto, nel 1452 avesse fatto dipingere in una stalla l'immagine della Madonna col Bambino. Col tempo e l'incuria fu coperta di rovi e poi, miracolosamente, gli abitanti notarono che un toro si genufletteva nel medesi mo sito. La sacra immagine venne alla luce e nel luogo si eresse una chiesa. Questa non è che una delle innumerevoli versioni della medesima leggenda, volta a chiarire perché l'edificio sacro e tutta la contrada avesse preso il nome di S.Maria del Toro; anche se presumibilmente originariamente "toro" derivava da "tauros oros": altur a, zona elevata. Nell'interno della chiesa è da ammirare uno splendido soffitto a cassettoni di faggio e tiglio dei XVII sec., la cupola affrescata che raffigura il Trionfo della Croce e la glorificazione di S.Gaetano e, soprattutto, dietro l'altare principale della seconda metà dei '700, l'affresco rinascimentale della Madonna del Toro: lo stesso che era dipinto sul muro del l a stalla. Su un fianco del campanile si apre un per corso a gradoni che conduce alla via dei Mulini, creata da Alfonso D'Aragona per collegare Vico a Castellammare ed immersa tra olivi e castagni. Lungo la strada che conserva l'originaria pavimentazione fu costruito, nel 1478, l'acquedotto che alimentava il mulino a forma di torre. Si può quindi raggiungere Via Scrajo immersa nel verde o, salendo tra gli oliveti, il Convento di S.Francesco, collegato al centro di Vico dalla via Raffaele Bosco. Dallo spiazzo antistante il complesso conventuale che domina Vico dall'alto con la caratteristica mole rossa del suo campanile, si gode il panorama della costa e delle colline circostanti, visibile anche dal Belvedere dove si erge il monumento dedicato a S.Francesco dallo scultore Emilio Greco nel 1977. All'interno della chiesa, consacrata dal Vescovo Pace nel 1744, ad una sola navata con cupola ottagonale, è custodita la statua bizantina di S.Maria a Chieia, originariamente in tufo e successivamente colorata come le statue lignee settecentesche. Di estremo interesse è l'oratorio del convento, al quale si accede, dietro richiesta. Adorno di maioliche settecentesche di scuola napoletana, reca al centro l'emblema del "toson d'oro", che attesta il collegamento di questo Convento all'ordine istituito da Filippo III nel 1429. Sovrastante è un’affresco del 1636, firmato da Ludovico Spagnolo, raffigurante "L'UItima Cena". Dal cimitero sottostante il convento, si può imboccare a sinistra un sentiero, il cui percorso antichissimo costituiva un tratto della via Minervia che terminava a Punta Campanella, che porta, in circa mezz'ora di cammino, alla Sorgente della Sperlonga, tra olivi, castagni e con ai piedi lo splendido panorama della costa e del Vesuvio. Una volta ritornati sulla via Raffaele Bosco e superata la frazione di S.Andrea, si arriva al casale di S.Salvatore. Attraverso una stradina attorniata da case coloniche si raggiunge la Chiesa di S.Maria delle Grazie: una cappella dalle tinte pastello che conserva, in una nicchia all'altezza del pavimento, un'immagine di Madonna che è oggetto di grande devozione. Si dice infatti che fu ritrovata su un muro da alcuni contadini, che e ressero sul luogo una chiesetta. Continuando per lo stesso sentiero si raggiunge una collinetta pietrosa ed assolata che domina Vico e la costa . Salendo tra la macchia mediterranea, con nell'aria il profumo di finocchio selvatico, si raggiunge una grotta seminascosta dagli arbusti, detta "Grotta dell'eremita": sulla parete di fondo è scolpita, in altorilievo una Madonna coi Bambino e S.Giuseppe. Lasciatesi alle spalle la quiete e la semplicità di S.Salvatore e proseguendo lungo la statale, si raggiunge Massaquano, il più antico casale di Vico. Nel cuore del borgo si erge la chiesa di S.Giovanni Battista del XIV sec., da dove parte la suggestiva processione che conduce la statua di S.Maria a Chieia fino al convento di S. Francesco, lungo l'antico sentiero che univa il Casale al complesso monastico. Poco distante dalla parrocchiale, immersa nell'oscurità di un sottopasso, si incontra la cappella di S. Lucia. Di struttura gotica, con volta a crociera, fu eretta da Bartolomeo Cioffi nel 1385. Di recente sono stati portati alla luce una parte degli splendidi affreschi del XIV sec., che adornavano tutte le pareti. Ha ritrovato così l'antico splendore l'Assunzione della Vergine, articolata in due scene: la "dormitio" o morte e la "coronatio" o incoronazione, in parte mutila. Lasciata la luminosità dorata degli affreschi si prosegue verso Moiano, poco distante dalla cima del Faito . L'aria si fa più sottile e sembra avvolgere le case che si stringono attorno alla cupola e al campanile della chiesa di S.Renato, vescovo di Sorrento nel 425, la cui statua lignea è conservata nella chiesa del XVI sec . Procedendo verso Ticciano, si apre via Gradoni che conduce a S.Maria di Castello. Poche case contadine che si contano sulle dita di una mano, con aie e animali da cortile , campi coltivati e una lunga gradinata che conduce ad una piccola cappella dei sec. XV In questo luogo silenzioso e tranquillo, che doveva essere un posto fortificato o di guardia nel lX sec. quando la zona era confine tra il Ducato di Amalfi ed il territorio equense, si rifugiarono gli abitanti di Vico nel 1656 per sfuggire alla pestil enz a. Immergendosi nel sentiero che attraversa fitti boschi cedui di castagno, si raggiunge uno spiazzo erboso con una vista splendida a strapiombo su Positano. Di fronte il Monte Comune, che fa da spartiacque tra il golfo di Salerno e quello di Napoli, raggiungibile attraverso un sentiero marcato, che si fa strada tra ginestre ed erica. Ridiscendendo lungo la Raffaele Bosco ci si avvicina a Ticciano e a Preazzano dove il castagno, grazie all'abilità ed all'esperienza di un'antica forma di artigianato, diventa cesti o meglio sporte per frutta, pesce, verdura o semplicemente ornamentali. Il legno , messo nel forno ad asciugare, viene tagliato a lunghe strisce e poi lisciato ed intrecciato: tutto a mano e con grande pazienza. Con ancora negli occhi l'abilità nel forgiare il castagno si giunge ad Arola, alle pendici del Monte Comune, il cui nome deriva dalla radice latina "rus'': campo coltivato. Nelle tante stradine che tagliano gli orti e si arrampicano sulla collina, si trovano ancora preziose testimonianze di edilizia contadina, nelle armoniose linee delle abitazioni dalle volte estradossate, con le coperture realizzate, fino al secolo scorso, con pietrame coperto di battuto di lapillo e latte di calce. Il fulcro di questo casale è la chiesa di S.Antonino dei XVI sec., dedicata al Santo che, secondo la leggenda, pur diretto a Sorrento, si sarebbe fermato e dissetato ad Arola. Superata Arola e imboccando via Camaldoli si arriva alla collina di Astapiana e una volta oltrepassato l'arco sormontato da una torre merlata si raggiunge l'ex Convento Camaldolese del XVI sec. attualmente proprietà privata. Il complesso conventuale caduto in rovina nel 1800 fu restaurato dal Conte Giusso che ne divenne il proprietario. Un ampio piazzale, ombreggiato da lecci e querce, offre allo sguardo un panorama senza limiti della costiera sorrentina. La villa dei primi del '600 è affiancata da una decina di case coloniche, che erano una volta le celle dei monaci. Abbandonata la suggestione dell'antico complesso monastico, scendendo per Fornacelle, dopo aver ammirato la piccola chiesa settecentesca di S.Pietro e Paolo con la facciata ricurva ed il piccolo campanile che custodisce un orologio di maiolica, si può deviare verso Pacognano. Percorrendo la stradina di Casa Cafiero si ammira la villa cinquecentesca che ospitò GiovanBattista Della Porta, poeta, scienziato, filosofo; oggi proprietà privata e non in splendide condizioni. Dopo aver visitato la chiesa settecentesca di S.Maria, con i resti di una bella pavimentazione maiolicata nell’interno e, con, difronte al cancello d'ingresso, il quadro anch'esso settecentesco in maiolica raffigurante Cristo in croce, si può riprendere la Raffaele Bosco e scendere verso il casale di Seiano che domina la piana di Equa, il cui nome, di origine romana, sta ad indicare la presenza di “una gens Seja . Il borgo risale probabilmente al 1300, allorquando sorse anche la cappella di S.Maria delle Grazie, sul cui muro era dipinto un’affresco di una Madonna coi bambino, che si trova attualmente sui portale d'ingresso della chiesa di S.Maria Vecchia, sorta nel XVI sec., al posto della primitiva cappella, dopo un crollo che salvo miracolosamente solo il muro con l'immagine sacra. La chiesetta è un vero santuario che custodisce una collezione singolare di ex voto: quadri eseguiti dai fedeli con tecniche diverse e tutti, o quasi, di argomento m a rinaro. Entrando nel casale si incontra la chiesa di S.Marco Evangelista, a pianta rotonda e di stile neoclassico con un’ampia cupola. Nell'altare maggiore sono custodite, ai lati dei tabernacolo, le “chartae glori ae” in lamina d'oro. Dalla cappella del Crocifisso, ogni tre anni, la sera del Venerdì Santo, parte una processione in costume che ripropone le fasi salienti della Passion e di Cristo e da Seiano raggiunge Vico. Imboccando la stretta stradina di via Punta La Guardia, tra le bianche case dei contadini con il soffitto a volta, i balconcini di pietra protesi nel vuoto, ci si può avventurare per gli stretti percorsi che si fanno strada tra limoni, aranci, ulivi ed orti, per raggiungere, in circa un quarto d'ora di cammino, la torre di Punta Scutolo che domina la costa. Uscendo da Seiano ed immettendosi sulla statale che va verso Sorrento, sulla destra si incontra, dopo poche panoramiche curve, la deviazione che porta a Montechiaro. Ci si inerpica tra bianche case piene di fiori ed il lastricato della via ti conduce a salite impervie, dove si aprono i portoni in tufo e le distese degli orti con i limoni che si intrecciano alle viti. La chiesa di S.Pietro e Paolo domina la piccola piazza dei paese, mentre S.Maria delle Grazie fronteggia, isolata sopra una collina, una terrazza che si protende sui mare. Se si imbocca via Calvania, quindi via Emanuele e via Casini tra larghe distese di terre coltivate, si raggiunge una collina dove sorgono i resti diroccati del Casino di caccia di Ferdinando lI.
Post: 2.672
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04/09/2007 19:18
 
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QUALCHE ALTRA FOTO DI VICO EQUENSE




Post: 337
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04/09/2007 22:12
 
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Che Bella che è Vico!
Stupenda la storia... e che foto!
Mi viene una voglia di fare un tuffo in quel bel mare azzurro!
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Città: BERGAMO
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11/09/2007 18:59
 
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Re:
SusyD, 04/09/2007 22.12:

Che Bella che è Vico!
Stupenda la storia... e che foto!
Mi viene una voglia di fare un tuffo in quel bel mare azzurro!




pure a meeee [SM=x1083528]

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